
Devi porti un obiettivo SMART… Specifico, misurabile, raggiungibile, rilevante o realistico, “temporizzato“… etc…
Pianificare un obiettivo SMART ci permette davvero di raggiungerlo più facilmente? Questo è quello che ci dicono libri di crescita personale, motivatori e manager.
Ma è davvero così ?
Il giornalista Oliver Burkeman nel suo libro “La legge del contrario” ci spiega perché non è vero.
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La Traguardomania – Quando l’ Obiettivo SMART diventa un problema
Devi porti un obiettivo SMART… Specifico, misurabile, raggiungibile, realistico, temporizzato… etc…
Guru, motivatori e mental coach, ma anche in master di managment universitari, ti diranno che se vuoi raggiungere i tuoi obiettivi devi pianificarli in maniera SMART.
Devi anche continuare a impegnarti, con determinazione, per perseguire l’obiettivo superando gli ostacoli.
I fautori dell’obiettivo smart citano spesso a sostegno della loro teoria lo studio Yale, uno studio che in realtà non è mai esistito.
Per contro, dei ricercatori hanno recentemente dimostrato che porsi un obiettivo SMART non garantisce in alcun modo di raggiungerlo più facilmente (Ordonez et al., 2009).
Anzi irrigidirsi nel voler raggiungere un obiettivo, può portare davvero a ottenere il goal che ci siamo prefissati, ma a costo di sacrificare la nostra salute, le nostre relazioni e la nostra felicità.
Il raggiungimento di un obiettivo non è sempre una cosa positiva
Non ci credete ? Ecco qui degli esempi:
Ancora oggi vi è un fenomeno chiamato Everest: cui gli scalatori più determinati e che si sono allenati di più sono quelli più propensi ad attardarsi pur di raggiungere la vetta. In questa gruppo la mortalità è più alta, perché attardandosi a costo di raggiungere l’obiettivo, trovano spesso condizioni avverse in discesa. Raggiungono insomma l’obiettivo, ma poi non tornano a casa (Burkeman, 2015)
Sempre nello stesso libro viene riportato l’esempio di un manager d’ azienda che è riuscito a realizzare il proprio sogno: diventare milionario a quarant’anni. Il problema è che nel frattempo aveva divorziato, si era rovinato la salute e non aveva più alcuna considerazione da parte dei propri figli.
Obiettivo Smart e Leadership: “una cagata pazzesca”

Jerker Denrell studioso di management di Oxford ha dimostrato come le seguenti caratteristiche:
- Forte carisma
- Ledearship
- Perseveranza
- Determinazione nel perseguire un obiettivo, senza lasciarsi fermare
Sono sia le caratteristiche degli imprenditori di successo che di quelli che hanno raggiunto i più grandi fallimenti (Denrell, 2003 e 2005).
Il problema è che studi, interviste e libri si concentrano quasi esclusivamente sulle caratteristiche dei vincenti per un errore cognitivo, che si chiama “Bias della sopravvivenza” o “sottocampionamento dell’insuccesso”.
Il mondo è pieno di libri che tracciano il profilo caratteriale di milionari o uomini di successo, ma non si preoccupano di vedere che quelle caratteristiche caratteriali sono condivise da chi non c’è l’ha fatta.
Cosa dobbiamo fare quindi?
Dovremmo in pratica dedicarci ai progetti o alla nostra vita in assenza di un obiettivo specifico; avere il coraggio di riflettere sui nostri insuccessi; rinunciare ed accettare l’insicurezza e lasciare perdere le tecniche “motivazionali” per darci da fare sul serio.
L’ Obiettivo SMART non ci porta alla felicità

L’uomo è ossessionato dalla ricerca di sicurezza, il dubbio è intollerabile, ma cercare compulsivamente la sicurezza è controproducente.
Una prima dimostrazione ci viene dalla psicopatologia clinica, il tentativo di risolvere e sedare dubbi che non hanno una risposta razionale certa e definitiva innesca il Disturbo da Dubbio Patologico (De Santis & Nardone, 2011).
La seconda dimostrazione ci viene dalla World Value Survey, uno studio internazionale sembrerebbe confermare come la sicurezza, anche economica, non sia collegata alla felicità.
Insomma raggiungere tutti i nostri obiettivi economici, lavorativi e sociali, o la percezione di poterli ottenere non ci rende più felici (www.worldvaluessurvey.org in Burkeman, 2015).
Burkeman non vuole certo elogiare la provertà e l’analfabetizzazione ma farci riflettere sul fatto che ottenere ciò che ci proponiamo non ci garantisce di essere felici, e che voler raggiungere ossessivamente i propri obiettivi e una condizione di sicurezza sono una ricetta sicura per l’infelicità. (Alan Watts, 1981).
Secondo Watts oltretutto il fiorire della disciplina del self-help, dei motivatori o guru del nostro secolo, sono un tentativo di colmare il vuoto spirituale provocato dalla sostituzione dell’autorità religiosa con quella della scienza.
La soluzione è accettare l’insicurezza e il cambiamento quali uniche costanti della vita.
Infatti paradossalmente cercando di aumentare la sicurezza, mi separo ancora di più dall’eterno fluire e cambiare della vita fino a sentirmi ancora più isolato e insicuro.
La soluzione non è dunque “affrontare l’insicurezza” ma riconoscere che ne siamo parte.
La nostra ragione non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e non solo il dubbio giova a scoprire il vero, ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita sa, e sa il più che si possa sapere.
Giacomo Leopardiì
I Danni di Pensiero positivo Goal setting e Obiettivo SMART.

Il pensiero positivo, il goal setting, la visualizzazione, l’ottimismo e il tentativo di piegare il mondo al nostro volere si fondano sull’assunto che “noi” e il “mondo” siamo realtà differenti, ma non è vero.
Gli stoici dicevano che non possiamo scegliere gli eventi né fare quasi nulla per controllarli, possiamo solo scegliere di avere aspettative realistiche nei confronti della vita.
La tecnica stoica della premeditazione dei mali consiste nell’ammettere la possibilità di fallire e rendere le nostre aspettative più realistiche. Ma perché ha senso contemplare e accettare il fallimento? Perché gli sforzi per evitarlo e di non pensarci creano una visione distorta della realtà.
L’insegnamento del Buddismo invece è quello dobbiamo imparare ad osservare i pensieri come “condizioni metereologiche interiori” in modo da evitare di agire compulsivamente. Come quando, sulla spinta dei nostri moti interiori, agiamo inseguendo un obiettivo SMART senza sapere neanche se ci renderà davvero felici raggiungerlo.
Dovremmo in pratica dedicarci ai progetti o alla nostra vita in assenza di un obiettivo specifico; avere il coraggio di riflettere sui nostri insuccessi; rinunciare ed accettare l’insicurezza e lasciare perdere le tecniche “motivazionali” per darci da fare sul serio.
La verità, che molti comprendono solo troppo tardi, è infatti che più si cerca di evitare la sofferenza più si soffre, perché si incomincia a subire la tortura delle cose minori e più insignificanti, in proporzione diretta al timore che si ha di rimanere feriti.
Thomas Merton
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Se invece prima vuoi approfondire gli altri argomenti di questo libro ti consiglio il post che ho scritto sulla legge del contrario o questo altro post sui falsi miti di come trovare la motivazione.
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Bibliografia
Denrell, J., Selection Bias and the Perils of Benchmarking, in “Harvard Business Review” Aprile 2005.
Denrell, J., Vicarious Learning, Undersampling of Failure, and the Myths of Management, in Organization Science, 14, 2003, 227-243
De Santis, G. & Nardone, G., Cogito Ergo Soffro, Quando pensare troppo fa male, Ponte Alle Grazie, Adriano Salani Editore S.p.A., Milano, 2011
Ordonez et al., Goals Gone Wild: the systematic side-effects of overprescribing Goal-setting, in Academy of Managment perspectives, 23, 2009, pp.6-16.
Watts, A., La saggezza del dubbio: messaggio per l’età dell’angoscia, trad. it. Di Augusto Menzio, Roma, Ubaldini, 1981
Merton, T., La montagna delle sette balze, trad. It. Di Alberto Castelli, Milano, Garzanti, 2006, p 100
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